Alla Pinacoteca di Brera salta l’impianto di condizionamento e i capolavori che vi sono esposti ne risultano danneggiati. Due sono stati urgentemente sottoposti a restauro, un’altra quarantina sono incerottati, in attesa di una verifica più approfondita. Tomaso Montanari commenta su Repubblica che la cosa è assolutamente grave e va chiarita. Poi si chiede se vi sia “un nesso tra il fatto che a Brera ci si dedichi con grande energia alla promozione di un improbabile Caravaggio privato e il fatto che alla stessa Brera non sia stato ben tutelato uno straordinario Bramante pubblico”. Si domanda anche quanto c’entri la filosofia di fondo della recente riforma, quella di “separare la tutela dalla valorizzazione”, dando il via libera ai manager a scapito degli storici dell’arte. Non c’è alcun nesso meccanico tra quella filosofia e l’incidente di Brera, ma certo c’è da riflettere. Io aggiungo di mio una sola considerazione, che sorge spontanea: ma se i fatti di Brera fossero accaduti non nella Capitale morale, non nella futura (auspicano taluni) Capitale politica, ma a Roma, nella negletta Roma, quale sarebbe stata la reazione dei giornali? Cosa avrebbero detto della mia città, di noi romani, ancor più di quanto già non dicano oggi? Cosa avrebbe scritto Sergio Rizzo? E cosa avrebbero raccontato i servizi giornalistici sull’argomento? Titoli: “A Roma anche l’arte non è più al sicuro”. “L’impianto di climatizzazione non funziona e nessuno controlla”. “Dov’erano i guardiani? Avevano timbrato il badge ed erano andati a casa?”. “La Capitale contro l’arte”. “Portiamo via il Colosseo e rimontiamolo a Brera!”. “I soliti assenteisti e i quadri si distruggono”.

I critici avrebbero mischiato mondezza, buche, il Colosseo, il Bernini, le cacche dei cani, gli autobus, i lavori della metro. In un grande pout pourri. Qualche giorno fa un servizio di SkyTg24 sul Palatino (uno dei monumenti italiani più frequentati) non raccontava le bellezze dell’area ma, CON TELECAMERA NASCOSTA, si badi, puntava alle cartacce in terra e alla presunta scarsa vigilanza. Senza alcun rispetto, dico io, senza riguardo. Con una tale banalità di approccio e conformismo da fare spavento. Quando piove moltissimo a Roma e si blocca la metro sono critiche e sghignazzi; quando accade altrove si dice ‘poverini’. Si badi, una nazione deve difendere la sua Capitale, non spararle addosso anche in assenza di concreti motivi. Roma è molto più bella di come la raccontano, un po’ come la Jessica Rabbit del cartoon. È una città grande, accogliente, popolare, stracolma di bellezza e di pensiero, una città sovrabbondante di umanità, capace di proporre vette e misure artistiche e concettuali inimmaginabili. Roma è di un’altra categoria. È davvero la città di tutti. Chi viene a Roma con i suoi pregiudizi settentrionali spesso resta spaesato. Li sento parlare sui bus: alternano banalità leghiste a stupore vero, imprevisto. Molto di quello che si legge sui giornali o si dice in giro è falso o esagerato. I problemi ci sono, ma sono gli stessi di tante altre città. Ingranditi dalla grandezza stessa della metropoli, dal suo essere Capitale di una nazione e pure del mondo cattolico. Vi dico di più: a Roma non servono le Olimpiadi, non servono eventi come l’Expo per essere grande. Basta, dunque, con la filosofia dei maxi eventi. Basterebbe più cura da parte dello Stato, e più prossimità da parte del resto del Paese. Basterebbe avere un’idea di Capitale, invece di sputarci addosso quotidianamente, magari mentre la si usa come sfondo di qualche pagliacciata. Senza la Città Eterna, l’Italia varrebbe la metà. Diciamolo.